Tadao Ando, Architetto

16/04/2024

Tadao Ando, architetto

 

Un giapponese "diverso"

La formazione architettonica da appassionato autodidatta, arricchita dai viaggi di studio frequenti in Europa e negli Stati Uniti, non deve essere stata secondaria nel determinare in Tadao Ando un atteggiamento autonomo rispetto al panorama dell'architettura giapponese del dopoguerra.
Cresciuto al di fuori delle istituzioni architettoniche e per cosi dire, senza un pedigree di appartenenza, egli stesso ha sempre confessato di non aver mai amato molto la scuola e di essere stato, da adolescente, uno studente di scarso profitto che passava più tempo in strada che sui banchi di scuola.

 

Una casetta in legno

Lo interessava di più l'apprendistato che in quegli anni svolgeva in una falegnameria, esperienza che costituisce un tassello anomalo nel bagaglio formativo di un architetto.
All'età di quattordici anni, prendendo giustamente sul serio la dimensione ludica della propria formazione, costruisce assieme a un suo amico falegname, una casetta di legno, come fanno tanti adolescenti in ogni luogo del mondo, ma lui la realizza di ben 23 metri quadrati: segno di passione e vocazione inequivocabili.

 

Architetto-pugile

Il quadro poco ortodosso si completa poi con la nota non secondaria, sebbene possa apparire folcloristica, della sua passione per la baxe che pratica con impegno da professionista, che gli consente di effettuare i suoi primi viaggi all'estero e che, a suo dire, contribuisce a rafforzare l'anomalia della formazione personale.

 

Pragmatismo

La sua sensibilità si è dunque sviluppata attingendo più alla sfera del fare empirico che non alla trasmissione codificata della conoscenza disciplinare o alla frequentazione della critica architettonica e dei dibattiti teorici, dimensione - quella teorica - che invece non disdegnerà di praticare negli anni della maturità da posizioni originali, offrendo punti di vista raffinati.
Negli anni giovanili coltiva, del tutto senza guide, due passioni apparentemente contrastanti. La prima riguarda l'architettura tradizionale giapponese che conosce e apprezza visitando i templi e le case dei quartieri sottratti alla modernizzazione del dopoguerra nelle città di Nara e di Kyoto, vicine alla sua Osaka.

 

L'influenza di Le Corbusier

La seconda riguarda l'architettura moderna e in modo particolare le opere di Le Corbusier, incontrate a vent'anni attraverso le pagine di un libro che usa fino alla consunzione, per ridisegnare piante, prospetti e sezioni innumerevoli volte
Dallo scontro tra i valori e i canoni dell'estetica tradizionale giapponese con quelli del modernismo occidentale, appunto rappresentato da Le Corbusier, nasce il carattere della sua architettura o almeno trova fondamento una possibile convincente chiave di lettura. Dal conflitto la sua poetica produce un amalgama, un intreccio di condizionamenti che non tralasciano nulla della sensibilità accumulata nella cultura millenaria di un popolo, senza tuttavia indugiare in un passatismo confortevole.

 

La modernità

La sua concezione della modernità non rinuncia a nessuno stato di avanzamento culturale, tecnologico, sociale conquistato dall'uomo ma, poiché questi provengono in larga misura dalla civiltà occidentale, Tadao Ando ne ricerca una interpretazione in equilibrio con i caratteri culturali autoctoni. Per lui che è nato nel 1941, gli anni Sessanta sono quelli dell'apprendimento dell'architettura, della formazione della personale coscienza delle cose che riguardano l'abitare. Sono per il Giappone, gli anni dell'accelerazione di quel processo di americanizzazione dei gusti e dei modi di vita cominciato già negli anni precedenti la seconda Guerra Mondiale e denunciato da Jun'ichiro Tanizaki come vera e propria perdita di senso per la cultura dell'abitare giapponese, nel piccolo libro In'ei raisan' (letteralmente "elogio della penombra"), del 1933, che certamente Tadao Ando avrà letto e meditato.
 

Modernità e tradizione

Comprendere il rapporto tra modernità e tradizione nella cultura giapponese non è immediato per noi occidentali, abituati a percepire la dinamica del tempo e della storia del pensiero in forma oppositiva, come sostituzione di paradigmi. Così in architettura, come nel campo delle arti in generale, siamo abituati a leggere la querelle degli antichi e dei moderni in forma esclusiva e, del resto, è la stessa avanguardia moderna del Novecento, in determinate occasioni, a rendere esplicito il riferimento alla storia come a una tabula rasa. La cultura giapponese è invece pervasa in tutti i suoi aspetti, finanche in quelli religiosi, da un principio di immanenza che determina una predisposizione generale all'inclusione degli opposti, alla loro convivenza. Principio che si è sedimentato nella civiltà giapponese per millenni, senza subire scossoni. A differenza della civiltà occidentale [...) la civiltà giapponese non ha sofferto alcuna invasione e si è sviluppata in modo autonomo senza interruzione; essa costituisce perciò un caso raro nella storia dell'umanità.

 

L'architettura in Giappone: convivenza degli stili

Questo ha favorito l'affermazione di un'idea continuista della storia, priva di soppiantamenti epocali dei paradigmi culturali, in cui la modernizzazione è concepita come aggiornamento della tradizione, empirico adeguamento delle innovazioni alle condizioni dell'esistente, come innesto su di una pianta che non si sradica. La civiltà giapponese ha sempre prodotto le sue trasformazioni culturali sequendo un processo di assorbimento e di metabolizzazione delle influenze straniere, soprattutto per quel che riguarda l'alfabeto e le religioni importate dalla Cina, rigettando invece quegli influssi che non erano integrabili perché informati a principi di trascendenza e di esclusione, come è stato per la religione cristiana che nel Seicento ha tentato di evangelizzare l'arcipelago nipponico.

 

L'apertura agli stili occidentali e la seconda guerra mondiale

Anche l'apertura all'Occidente a partire dal 1868, inizio dell'era Meiji, ha generato fenomeni di importazione culturale che sono stati via via integrati nello sviluppo sociale del paese.
Tuttavia se c'è stato un vero trauma epocale nella storia millenaria del Giappone, un punto di rottura che pervade il senso comune del vivere, questo è forse rappresentato dalla sconfitta nella seconda Guerra Mondiale cui è seguita l'occupazione americana durata fino al 1952 (e per l'isola di Okinawa anche oltre). Lo shock collettivo e il senso di frustrazione generale prodotto dall'annichilimento atomico hanno fatto vacillare le basi delle certezze collettive del paese. Il ridimensionamento della figura dell'imperatore non è che un epifenomeno di una condizione di crisi più vasta, che ha comportato l'adozione di modelli sociali, economici e culturali eteronomi e l'occidentalizzazione progressiva del modi e dei costumi.

 

I primi lavori di Tadao Ando

In questo clima culturale, combattuto tra i due poli opposti della occidentalizzazione acritica spinta dall'economia di mercato e della reazione tradizionalista pura, esordisce il lavoro di Tadao Ando che possiamo interpretare come un tentativo indipendente di assorbire e metabolizzare gli influssi occidentali nel campo delle costruzioni e dell'architettura, per inserirle nel solco della civiltà giapponese. Tentativo condotto in un'epoca in cui le coscienze illuminate di tutto il mondo rivalutano il contributo critico del valori geografici legati ai luoghi e alle storie del pianeta.

 

Il mito dell'architettura Giapponese in Europa

Negli anni pionieristici dell'architettura moderna, ossia tra le due guerre mondiali, gli architetti moderni occidentali avevano rintracciato nell'architettura tradizionale giapponese i paradigmi estetici e i canoni progettuali della modernità occidentale, sottraendo la tradizione giapponese alla corrente lettura esotica da cartolina.
Durante il suo "esilio" giapponese, Bruno Taut rimase folgorato dalla visita alla vila imperiale di Katsura a Kyoto e apri, a proposito, un processo di mitizzazione ancora oggi in corso; aveva poi raccontato agli architetti europei, della secolare ricostruzione ciclica, sempre identica, dei santuari di Ise, ritrovando in questo singolare fenomeno, il mito della compiutezza della forma definitiva e senza autore.

 

Gli influssi occidentali in Giappone

Nel dopoguerra la modernità entra negli stili di vita delle città giapponesi e di conseguenza nella cultura architettonica giapponese, in opposizione alle forme del sapere tradizionale.
Kenzo Tange è la figura di maggior spicco dell'architettura giapponese in questa fase che acquisisce da Le Corbusier e poi trasferisce nel proprio paese una attualizzata lezione di modernizzazione del paese, sia nelle intenzioni estetiche che nella sperimentazione delle tecniche costruttive più avanzate del cemento armato. Con Tange l'architettura moderna giapponese rivolge sempre più lo sguardo a un panorama di riferimento internazionale, tanto nell'importare spunti e temi da rielaborare (espressione massima nel periodo che prepara le olimpiadi di Tokyo del 1964) quanto nell'offrire contributi originali al di fuori dei confini giapponesi (si veda ad esempio il suo piano per la ricostruzione di Skopje dopo il terremoto del 1963). Anche il gruppo di giovani architetti che crescono nel clima delle sperimentazioni di Tange, tra i quali Arata Isozaki, Fumiko Maki, Kisho Kurokawa, esercitano la loro crítica al razionalismo modernista e all'idea di città che ne era stata generata, non rintracciando nella storia e nella geografia del proprio paese le ragioni profonde di una proposta originale, ma restando legati ai modi espressi dai movimenti culturali occidentali, ovvero muovendosi tra riferimenti organici e futurismi utopici per approdare poi alle citazioni storicistiche.

 

Gli esordi di Tadao Ando

A partire dai suoi esordi, dopo un periodo di lavoro dedicato alle commesse di arredi o di piccole abitazioni, alla metà degli anni Settanta, Tadao
Ando sviluppa una poetica capace di lavorare sotto l'influsso di valori desunti dalla tradizione giapponese dell'abitare. Tale influsso si insinua dapprima inconsapevolmente nel processo progettuale delle opere giovanili, nelle quali prevale la motivazione stilistica esplicita della produzione di forme moderne legate alle tecnide costruttive moderne. Solo più avanti inizia un periodo di consapevole riferimento ad alcuni temi dell'abitare tradizionale giapponese, affrontato sulla scorta di un attento studio analitico di edifici storici

 

Gli edifici ed i giardini tradizionali

Gli edifici dell'architettura tradizionale giapponese sono costruiti quasi esclusivamente con materiali di origine vegetale: il legno per la struttura e per il pavimento, il bambù per le recinzioni, le stuoie di paglia del tatami per il pavimento delle camere, la carta intelaiata in listelli di legno per i pannelli scorrevoli, la paglia per il tetto.
La sensazione che trasmettono questi edifici è pressoché monocromatica con una infinita variazione di sfumature e di toni. È ammesso un uso più che discreto della decorazione, efficace soprattutto in relazione alla penombra in cui è ambientata.

Al contrario il giardino giapponese che non è un luogo entro il quale muoversi, bensì un paesaggio-scenario da osservare e ascoltare dal portico e dagli ambienti della casa, ingloba tra le piante un gran numero di materiali minerali, che esaltano l'artificio che l'uomo esercita sulla vita vegetale, fino a essere del tutto minerale nei giardini fatti di rocce e ghiaia.

 

Arredi spogli ed essenziali

"La spoglia eleganza delle stanze giapponesi è fondata, per intero, sulle infinite gradazioni del buio. (...) Niente di manierato e di artificioso: solo uno spazio spoglio, la semplicità del legno, la nudità delle pareti. I raggi luminosi che vi penetrano provocano, ora in questo, ora in quell'angolo, il raggrumarsi dell'ombra", sostiene Tanizaki e il suo libro sull'abitare tradizionale ci trasmette immagini, suoni, profumi e sapori soffusi.

Ci comunica un'idea di accoglienza e di confortevolezza sobria, fatta di misura espressiva millimetricamente controllata, rilassante e quasi meditativa. Il benessere ambientale quanto più è scarno, fatto di sensazioni tattili, luminose, acustiche, rapportato alla esaltazione di sensazioni corporee, tanto più stimola quelle che Tadao Ando definisce qualità non razionali dell'abitare, qualità dello spazio architettonico in grado di accogliere e confortare la profondità dell'animo di chi lo abita.

 

Dai materiali naturali al cemento armato

Tadao Ando eredita dalla tecnica moderna del costruire il cemento armato e lo adotta, spesso in forma di muratura continua, come materiale dominante delle sue opere, in grado di conformare gli spazi e attribuire loro carattere cromatico, tattile e acustico, in parallelo con il ruolo che il legno e gli altri materiali vegetali svolgevano nell'architettura tradizionale.

La diversa resistenza non deve lasciar pensare a una diversa idea di durata dell'architettura. Se Ando può orgogliosamente riferire nel suo discorso alla cerimonia per il conferimento del Pritzker Prize del 1996, che nessuno dei suoi edifici era risultato danneggiato dal terremoto devastante che l'anno precedente aveva colpito la regione di Kobe, allo stesso modo possiamo constatare come la costante manutenzione e sostituzione di parti, rendono di fatto immutabile l'aspetto delle architetture tradizionali, fino all'estremo rappresentato dal ciclo di sostituzione e ricostruzione dei templi di Ise ogni vent'anni, da secoli. Questo si oppone alle regole dell'economia edilizia che ormai prevedono tempi di durata degli edifici sempre più brevi.

 

I problemi progettuali del cemento armato

L'uso del cemento armato a vista, esteso su tutto l'edificio, comporta la soluzione di problemi progettuali complessi nella definizione delle casseforme, quasi un progetto parallelo, per controllare in modo maniacale la qualità delle superfici (impeccabili negli edifici di Tadao Ando), dei giunti, dei raccordi tra i piani e le superfici verticali.
L'affinamento della tecnica di controllo di questi aspetti progettuali, richiede la reiterazione di soluzioni e il conseguente tentativo di standardizzarle e adottarle come se facessero parte di un bagaglio del saper fare, patrimonio dello studio Ando, una sorta di manuale di progettazione in continua evoluzione depositato negli esempi realizzati.

 

Casseri modulari

Dalla dimensione del tatami (90 x 180 centimetri) che era il modulo del dimensionamento della casa tradizionale, Tadao Ando ricava la dimensione del suo pannello da cassero, che attribuisce al cemento a vista la propria impronta e diventa così modulo costruttivo e unità di misura dell'intero sistema progettuale. Nell'accuratezza progettuale delle casseforme, in grado di determinare le qualità percettibili dei suoi muri, Tadao Ando recupera lo spirito della meticolosità e complessità dell'elaborazione artigianale della casa giapponese, che perseguiva la massima semplicità e asciuttezza espressiva attraverso il massimo rigore di esecuzione. L'abilità nell'uso delle casseforme non è dissimile dalla sua maestria nell'uso del legno come materiale da costruzione che egli adotta e sperimenta in diverse

 



 

Omotesando Hills, Tokyo (Tadao Ando)

Niwaka Building, Kyoto (Tadao Ando)

Oyamazaky Museum, Kyoto (Tadao Ando)

Garden of Fine Arts, Kyoto. (Tadao Ando)

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